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Giuanni Benforte

Giuanni Benforte che a cinquecento diede la morte. Una fiaba italiana

Fiaba della tradizione popolare marchigiana, Giuanni Benforte viene pubblicato nella raccolta di storie popolari italiane curata negli anni Cinquanta da Italo Calvino su commissione della Casa editrice Einaudi.

C’era una volta a Roma un tagliamacchie che si chiamava Giuanni. Un giorno mentre tagliava un ramo di quercia il ramo gli cascò addosso, gli ruppe uno stinco e lo mandò per tre mesi all’ospedale. Quando non ne poté piú di stare all’ospedale, scappò e venne quaggiú in Marca. Un giorno stava seduto e si sfasciò la gamba che aveva la piaga; e sulla piaga si posavano le mosche. Lui tutte le mosche che gli si posavano dava una manata e le stendeva morte. Quando non ne vennero piú le contò in terra: erano cinquecento. Fece un cartello e se l’attaccò al collo: Giuanni Benforte che a cinquecento diede la morte. Andò in città e prese alloggio in una locanda.

L’indomani lo mandò a chiamare il Governatore. – Visto che sei cosí forte, – gli disse, – va’ a prendere il Gigante che sta qui nei dintorni e rapina tutte le persone.

Giuanni andò nella macchia, e camminò finché non trovò un pastore. – Dove sta la grotta del Gigante? – gli chiese.

– Che ci vai a fare? Ti mangia in un boccone, – disse il pastore.

E Giuanni: – Dammi tre o quattro ricotte, che te le pago -. E se ne andò con una pila di ricotte in braccio.

Quando fu sopra la grotta del Gigante si mise a pestare i piedi forte per far rumore. Uscí il Gigante. – Chi vive?

Giuanni prese in mano una ricotta e disse: – Sta’ zitto, o ti stritolo come questaselce, – e stringeva la ricotta che i pezzi gli cascavano di qua e di là dalle mani.

Allora il Gigante gli chiese se voleva mettersi con lui. Giuanni gli disse di sí, buttò via le altre ricotte e raggiunse il Gigante.

La mattina dopo, il Gigante, non avendoci piú legna, prese una corda lunga lunga e andò nella macchia con Giuanni. Sradicò una quercia con una mano, ne sradicò un’altra con l’altra mano e disse a Giuanni: – Dài, prendi qualche quercia anche tu.

Disse Giuanni: – Di’ un po’, Gigante, non l’avresti una corda un po’ piú lunga? Vorrei girarla intorno a tutta la macchia e tirarla via tutta insieme, in modo da non aver piú da tornare per legna un’altra volta.

Il Gigante gli rispose: – Lascia andare: non mi vorrai far perdere la razza della legna? Basta quella che ho preso io, dammi retta, non combinar disastri -. Si caricò le querce sradicate e Giuanni non ebbe da portar niente.

Un giorno il Gigante volle fare una scommessa alla trottola: chi arrivava piú lontano con un tiro vinceva cento scudi. Per spago prese un canapo da mulino e per trottola una macina. Tirò e fece quasi un miglio. Andò a riprendere la trottola, fece un segno dov’era arrivato, e disse a Giuanni: – Tocca a te.

Giuanni si guardava bene dal toccare la macina, che non l’avrebbe potuta spostare d’un dito; ma si mise a urlare: – Oooh! Oooh! Badate! Ooooh! Badate tutti!

Il Gigante aguzzò gli occhi: – E a chi gridi? Chi c’è laggiú? Io non vedo nessuno.

– Dico a quelli di là dal mare!

– Be’, lascia andare, se no qui la trottola non la troviamo piú, – e gli diede i cento scudi senza farlo tirare.

Giuanni allora gli propose una scommessa lui: – Tu che sei tanto bravo, facciamo a chi va piú dentro con una ditata in una quercia? E il Gigante: – Facciamoci altri cento scudi!

Giuanni, prima, con un trivello ed un coltello, aveva fatto un buco in una quercia e poi ci aveva riappiccicato la scorza, che non si vedeva niente. Andarono, e il Gigante diede una ditata che penetrò nel tronco mezzo dito; Giuanni mirò nel buco che aveva fatto, e ci ficcò piú di mezzo braccio.

Il Gigante gli diede i cento scudi, ma non si fidava piú a tenere con sé un uomo tanto forte. E lo mandò via. Aspettò che Giuanni stesse scendendo giú pel monte e gli rotolò dietro una valanga di macigni. Ma Giuanni, che non si fidava, s’era nascosto in una caverna; e quando sentí cascare quegli scogli si mise a gridare: – E che casca giú dal cielo, i calcinacci?

Il Gigante si disse: «Accidenti! Gli ho buttato giú i macigni e dice che sono calcinacci. Questo è meglio averlo amico che nemico!» e lo richiamò nella sua grotta. Ma pensava ancora al modo di disfarsi di lui.

Una notte, mentre Giuanni dormiva, s’avvicinò pian piano e gli diede una mazzata in testa. Bisogna però sapere che Giuanni sul guanciale ogni notte ci metteva una zucca, e lui dormiva con la testa al posto dei piedi. Appena il Gigante ebbe sfracellato la zucca, sentí la voce di Giuanni: – Che tu m’abbia rotto la testa non m’importa; ma che tu m’abbia rotto il sonno, questa me la pagherai!

Il Gigante aveva sempre piú paura. Pensò: «Lo porto là in quel bosco, lo lascio solo e i lupi se lo sbraneranno». Disse a Giuanni: – Vieni, andiamo a fare quattro passi.

– Sí, – disse Giuanni.

– Vuoi che facciamo una corsa tra noi due? – chiese il Gigante.

– Facciamola, – disse Giuanni, – basta che mi dài un po’ di vantaggio, perché hai le gambe piú lunghe.

– Giusto! Ti do dieci minuti.

Giuanni prese la corsa, e andò finché trovò un pastore con le pecore. – Me ne vendi una? – gli chiese; la comprò, tirò fuori il coltello, la sventrò, e buttò in mezzo alla strada le budella, il fegato e tutte le interiora. – Se un Gigante ti domanda di me, – disse al pastore, – digli che per far piú presto a correre mi sono tolto le budella, e dopo andavo come il vento, e mostragli le budella qui per terra.

Dopo dieci minuti, ecco il Gigante a gran galoppo. – Hai visto un uomo che correva? – fa al pastore.

Il pastore gli spiegò delle budella e gliele mostrò. Il Gigante disse: – Dammi un coltello che faccio anch’io cosí, – e si aprí la pancia da cima a fondo, cadde a terra e crepò. Giuanni che si era arrampicato su un albero saltò giú, prese due bufale e fece trasportare il Gigante in città, dove il Governatore lo fece bruciare in mezzo alla piazza. E a Giuanni dette da mangiare per tutta la vita.